1. La felicità
Il nostro PIL (Prodotto Interno Lordo: cioè la ricchezza prodotta da un paese) è il più grande del mondo. Ma conteggia anche l'inquinamento dell'aria, la pubblicità delle sigarette e le corse delle ambulanze che raccolgono i feriti sulle autostrade [...] la distruzione delle foreste e la scomparsa della natura [...] il napalm e i rifiuti nucleari. Invece, non conteggia la salute dei bambini, la qualità della loro istruzione, la gioia dei loro giochi, la bellezza della poesia [...] il coraggio, l'integrità,l'intelligenza, la saggezza.
Misura qualsiasi cosa, ma non ciò per cui la vita vale la pena di essere vissuta.
(Robert Kennedy, 1968)
Il fine della nostra vita è quello di superare la sofferenza e di raggiungere la felicità, [...] una felicità duratura che si raggiunge da una completa trasformazione della mente e che può essere ottenuta coltivando la compassione, la pazienza e la saggezza. Allo stesso tempo, a livello nazionale e mondiale abbiamo bisogno di un sistema economico che ci aiuti a perseguire la vera felicità. Il fine dello sviluppo economico dovrebbe essere quello di facilitare e di non ostacolare il raggiungimento della felicità.
(Tenzin Gyatso, attuale Dalai Lama, 2005)
Due citazioni: una delle due proviene da un Kennedy, uno dei simboli del capitalismo USA, l'altra dal più strenuo resistente non-violento al neocapitalismo e neoimperialismo cinese. Può sembrare 'un colpo al cerchio e uno alla botte', ma non è così.
Analizziamo i due testi, uno parla di bellezza, gioia, ciò per cui la vita vale la pena, l'altro parla espressamente di felicità. Lo stesso Maurizio Pallante, nel tradurre in italiano il concetto di Decroissance, di Serge Latouche, aggiunge al sostantivo 'decrescita' l'aggettivo 'felice'.
Noi, cittadini del mondo industrializzato del 2007, ricchi e pasciuti, abbiamo forse problemi con la felicità? Sì. È questo il dramma dell'attuale sistema consumistico: se ridurre alla fame due terzi dell'umanità, servisse a renderci felici, sarebbe magari comprensibile. Non giusto, ma comprensibile, sì.
Ma la nostra popolazione, il primo mondo, non è la più felice del pianeta. Chi ha fatto un minimo di viaggi lo sa: c'è molta gente disperata (e vorrei anche vedere), ma la civiltà occidentale del XXI secolo ha dei problemi con la felicità. È circondata, quasi soffocata, da un eccesso di beni materiali, ma non è felice.
Se avete già fatto queste considerazioni, se avete anche solo avuto queste intuizioni, sappiate che non siete soli: qualcuno ci ha pensato, oltre a voi. E molti di questi pensieri, parole, opere, e anche omissioni, sono confluite nel concetto di 'distretto'. Siamo un gruppo di persone che rifiutano gli aspetti deteriori della civiltà dei consumi, e si adoperano per cambiarla in senso più equo. Molti di noi hanno lavorato per produrre un documento chiamato 'Carta DES', che parla di "nuove relazioni tra i soggetti economici", "giustizia e rispetto delle persone, dell’ambiente, di partecipazione democratica, rapporto attivo con il territorio”.
2. Che cos'è un 'distretto'
In genere, per distretto si intende un territorio più o meno esteso (di regola inferiore a quello di una provincia), individuata in base a precise caratteristiche socio-economiche, che servono a delimitare un ambito postale, giudiziario o più spesso militare. Dal punto di vista economico è più difficile: in epoca di globalizzazione, il limitare le pratiche a un piccolo territorio è un problema. Ma la scelta di limitare l'ambito territoriale al distretto è l'unica possibile, per tre ordini di motivi:
Il distretto, cito, è un "laboratorio" di sperimentazione civica, economica e sociale, un esperimento di economia solidale. È un esperimento volontario tra volontari, e specifico,
tra volontari attivi, che si impegnano a rispettare una serie di principi e di vincoli, quelli che sono alla base della carta DES.
Fanno parte del DES:
La sfida sarà mettere in comunicazione 'preferenziale' questi attori economici, avviare il circuito economico virtuoso, e mostrare che il sistema è sostenibile, cioè vantaggioso per tutti i
suoi partecipanti.
3. Cosa significa 'solidale'
La definizione solidale non è perfetta, perché racchiude solo uno dei significati che vorremmo darle. Noi ci adeguiamo, perché tutte le persone che lavorano attorno a questo sistema, in campo nazionale e internazionale hanno adottato questo termine, e non sarebbe sensato costruire la stessa torre di Babele parlando lingue diverse, o litigando sul lessico.
Diamo casualmente alcune parole-chiave, per dare un'idea del termine:
● COLLABORAZIONE COOPERAZIONE invece di COMPETIZIONE INDIVIDUALISMO
● RISPARMIO RICICLO CONSERVAZIONE SOSTENIBILITÀ ARMONIA invece di CONSUMO SPRECO INQUINAMENTO AGGRESSIONE
● LOCALE invece di GLOBALE
● PRODUZIONE NATURALE invece di PRODUZIONE INDUSTRIALE IN SCALA
● GIUSTIZIA invece di LEGGE DELLA GIUNGLA
● RISPETTO PER IL LAVORO invece di PRECARIETÀ
● RITMI LENTI invece di STRESS E ACCUMULAZIONE
4. Sostenibilità economica
Per l'esperienza personale di ciascuno di noi, il biologico costa di più, il commercio equosolidale costa di più, il prodotto artigianale costa di più.
Ma questo è dovuto a un errore di fondo: abbiamo cercato di replicare i meccanismi dell'economia consumistica, aggiungendo dei vincoli in più (la coltura naturale, il rispetto dei lavoratori, anche di quelli alla base della filiera, la durata e la robustezza). I vincoli sono costi, e se, dopo averli aggiunti, fotocopiamo l'economia convenzionale, avremo prezzi notevolmente maggiori. Se chi si occupa di biologico ha lo stesso comportamento delle multinazionali dell'agro-industriale, con i suoi manager, la sua comunicazione, le sue logiche esclusivamente di profitto, allora il biologico, o il commercio equo, costeranno sempre un tot di più, e saranno sempre settori di nicchia.
Il sistema consumistico non va imitato: va rovesciato come un calzino. In maniera non violenta, senza contrapposizioni.
Ecco perché sono necessari i distretti: perché se l'economia è locale, allora la filiera si può accorciare. Si ottengono più vantaggi: i costi scendono, si rispetta l'anello più debole della filiera, che in genere è il primo, e si impediscono speculazioni e giochi sui prezzi. È volontà del distretto rendere accessibile il prodotto di qualità anche alle famiglie più
povere, senza dubbio. Il costo non deve essere però sopravvalutato:
il sistema consumistico è maestro nel creare fumo sui prezzi. Esso utilizza lo strumento della vendita sottocosto da sempre, ma oggi sempre più massicciamente. È facile disorientare il fruitore, con questi strumenti che peraltro sono vietati dalle norme internazionali sul commercio.
Quindi noi del distretto dobbiamo continuare a esercitare pressioni sul prezzo, ma dobbiamo tenere il focus sul lungo periodo, sulla stagione, come si faceva una volta. Dobbiamo imparare e insegnare a privilegiare la qualità, a scapito della quantità, a vivere con meno, a godere, insomma di quelle cose per cui vale la pena vivere. È il primo passo verso
la felicità.
Fonte: dall'associazione “el Sélese”, per il DES di Verona
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